Il palazzo decorato di Via Tiburtina a Roma

Su Via Tiburtina, all’altezza del cimitero del Verano, c’è un palazzo conosciuto come “il palazzo decorato” per il bizzarro miscuglio di stili che lo caratterizzano: palladiano, rinascimentale, barocco. Ma, se alziamo gli occhi, non possiamo fare a meno di notare una finestra particolare. Si tratta di una bifora dalla quale si affacciano delle figure in terracotta rossa, contornate da una tenda di pizzo, anch’essa di terracotta, che rappresentano: un uomo anziano dalla barba fluente e riccia, raffigurato con la berritta in testa, il tradizionale berretto nero sardo, ed un binocolo in mano, ai suoi lati una ragazza in costume tipico ed un’elegante signora. Tutti e tre guardano per strada e ridono.
La curiosa opera è da attribuirsi allo scultore Giuseppe Maria Sartorio, nato a Boccioleto in Valsesia nel 1854 e che, nel 1897 acquistò il terreno sulla Tiburtina sul quale fece costruire l’elegante palazzina chiamata, appunto, il palazzo decorato che adibì a sua dimora aprendo, al piano terra la sua bottega.
Una leggenda narra che si tratti del proprietario del palazzo il quale, assieme alla moglie e una servetta, stavano

 deridendo una processione funebre che passava sotto la loro finestra diretta al vicino cimitero del Verano. Ma un bel giorno la balaustra cedette ed i tre caddero a terra ponendo fine alla loro vita. Ma i tre potevano perdersi proprio il passaggio del loro corteo funebre? Sartorio, per non privarli della gioia di ridere anche del loro passaggio verso il cimitero li immortalò in un bassorilievo di terracotta.

Giuseppe Maria Sartorio è stato uno dei protagonisti dei cambiamenti culturali più profondi avvenuti in Italia nel corso del XIX

secolo. Con la nascita dei Camposanti monumentali, il rapporto intimo che ogni uomo ha con la morte e con la perdita dei propri cari muta completamente. Questa rivoluzione epocale, che trascrive nel marmo il ritratto di intere famiglie, è affidata a lui in Sardegna, giunto nell’isola dal natio Piemonte, richiestissimo per realizzare le sue sculture nei nuovi cimiteri extraurbani di Cagliari, Sassari, Iglesias.

Dotato di una buona tecnica, appresa negli anni di formazione all’Accademia Albertina di Torino, traduce nel marmo con efficacia il messaggio affidatogli dalla nuova classe dirigente, la borghesia, altra novità del secolo diciannovesimo.
Sartorio, nell’immortalare scene di vita adattandosi alle richieste della committenza, aggiornandole al gusto del momento, ha finito col diventare uno dei personaggi chiave cui si deve guardare per cogliere lo spirito di un’epoca: I decenni di passaggio tra Ottocento e Novecento. Ma, nonostante l’ammirevole attivismo, Sartorio, rimase, in fondo, abbastanza sconosciuto ai suoi contemporanei.

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