La festa di S. Efisio – Cagliari

È la mattina del I maggio.

Già al mio risveglio, dall’intensità della luce che filtra attraverso le tende della finestra, percepisco che il cielo è nuvoloso. Mi affaccio e mi accorgo che piove. Una pioggerella che continua a scendere incessante da quando sono arrivata a Cagliari. Ma oggi no! Oggi non deve piovere! È il giorno di S. Efisio! Non sto in me dall’emozione di assistere a una festa descritta così bene da mio nonno in un suo diario, ritrovato cinquant’anni dopo la sua morte, che mi ha spinta a partire da Roma e ho la consapevolezza che non sarò sola, ci sarà lui accanto a me ad accompagnarmi in questa avventura: andare alla ricerca dei luoghi descritti nelle sue memorie.

Tutta la Sardegna è devota al suo Santo protettore e il Primo maggio è dedicato a lui. In suo onore sfilano in processione i rappresentanti di tutti i paesi dell’isola con i loro preziosissimi costumi, ogni paese con il suo, diverso da ogni altro.

Suggestiva l’ipotesi che fa risalire questo culto a un’antica festa pagana dedicata alla Primavera per propiziare il raccolto.

La storia di Sant’Efisio è molto particolare. Ephysius, nato a Elia, in Asia Minore, intorno alla seconda metà del terzo secolo dopo Cristo, rimasto orfano di padre in tenera età, venne educato dalla madre al paganesimo. Arruolatosi nell’esercito divenne ufficiale durante l’impero di Diocleziano, il più spietato persecutore dei cristiani, e fu inviato in Sardegna alla testa di un poderoso esercito per combattere i Barbaricini, ostili al potere romano. Si narra che lungo la via fu illuminato dalla potenza divina, che doveva combattere, che gli apparve sotto forma di croce splendente e, da pagano, si convertì al cristianesimo. Richiamato dal suo imperatore a rinnegare, con la promessa di onori e ricchezze, quella fede cristiana che avrebbe dovuto combattere si rifiutò di obbedire e così fu imprigionato e sottoposto a terribili torture nella cripta-carcere su cui sorse la chiesa a lui dedicata. Ma le torture non bastarono per fargli rinnegare la fede e allora fu condannato a morte. Prima di morire Efisio ottenne dal boia di poter esprimere un’ultima preghiera:

“Ti prego Signore di proteggere la città di Cagliari dall’invasione di nemici, ti prego anche affinchè il popolo Cagliaritano abbandoni il culto degli dei e respinga gli inganni del demonio, e riconosca Te, Gesù Cristo, Signore nostro, come unico vero Dio.

Chiunque, afflitto da malattie, si recherà nel luogo dove il mio corpo verrà sepolto recupererà la sua salute, o se qualcuno si troverà in pericolo tra i flutti del mare, o oppresso da genti straniere, o torturato dalla fame o dalla peste, dopo avere invocato me, tuo servo, verrà salvato e liberato dalle sue angustie, per grazia tua, Signore Gesù Cristo”

Pronunciate queste parole fu decapitato nel carcere di Nora nel 303 D.C.

Ma la venerazione di Efisio da parte dei Cagliaritani ha inizio solo nel 1652.

Si narra, infatti, che nel 1652 si propagò nell’isola una terribile ondata di peste portata da alcuni marinai catalani affetti dal morbo che approdarono ad Alghero su un veliero mercantile.

L’epidemia contagiò tutta la Sardegna, in particolare Cagliari, dove morirono circa diecimila abitanti. Con la popolazione cittadina quasi dimezzata, Cagliari si stava trasformando in un enorme camposanto e la popolazione, ormai decimata, trovò nel martire un motivo di fede e speranza. Si narra che, nel 1656 i sardi pregassero Sant’Efisio affinchè sconfiggesse la terribile epidemia e l’Amministrazione Comunale cagliaritana fece un voto al Santo che se fosse riuscito a sconfiggere la peste, ogni anno si sarebbero svolti una processione e dei festeggiamenti in suo onore, partendo dal quartiere di Stampace, fino ad arrivare a Nora, dove il santo fu martirizzato.

A settembre, le abbondanti piogge fecero scomparire la peste, e da allora il I maggio di ogni anno il popolo cagliaritano dedica al suo Santo patrono una delle feste più particolari e seguite. La sagra, che dura quattro giorni, compie un percorso lunghissimo, senza soste se non per la notte, ed è capace di unire tutte le genti dell’isola in questo evento di fede e di costume. Fu scelto proprio il mese di maggio poiché simbolo di rigenerazione della natura.

Quest’anno, 2012, ho deciso di partecipare anch’io come spettatrice.

I preparativi per la processione sono iniziati già da ieri con la vestizione del Santo nella chiesetta a lui dedicata nel quartiere Stampace.

Passeggiando per le vie di Cagliari,  seguendo la folla, mi sono trovata, per caso, nella chiesetta dove ho potuto assistere alla vestizione del Santo che è stato anche impreziosito con l’aggiunta di alcuni gioielli, prima di essere posto all’interno del cocchio che lo dovrà trasportare fino a Nora.

E oggi è il gran giorno, ma piove!

Indugio ancora un po’, incerta su cosa fare, poi decido di andare ugualmente.

Esco dall’albergo e mi accorgo che ha smesso di piovere ma il cielo è ancora minaccioso.

Mi dirigo verso la mia tribuna di fronte a Largo Carlo Felice, prenotata con largo anticipo da Roma, e mi rendo conto che è a un isolato dall’albergo.

È quasi di fronte al palazzo Civico che ho modo di ammirare con le sue arcate in linea con i portici di Via Roma, con quel suo aspetto un po’ gotico e un po’ liberty e quel bianco calcareo che abbaglia quando c’è il sole. Il mio pensiero va al nonno che probabilmente ha assistito alla posa della prima pietra il 14 Aprile 1899 alla presenza del re Umberto I e della Regina Margherita.

Dalla mia postazione ho una visuale perfetta per assistere alla sfilata e fare delle foto.

Aprono le “traccas”, antichi carri, trainati dai buoi splendidamente addobbati a festa, all’interno dei quali sono esposti i prodotti della terra, gli utensili della casa, i prodotti dell’artigianato sardo messi in bella mostra nei cestini. Mi colpisce la preziosità dei tessuti degli abiti che abili ricamatrici hanno impreziosito. Ogni carro rappresenta un paese.

Le traccas

I buoi addobbati

Improvvisamente le nuvole si diradano e a poco a poco spunta un sole splendente.

“È il miracolo di S. Efisio!” Esclama una donna cagliaritana seduta vicino a me.

Ogni anno, se piove, all’inizio della sfilata, come per incanto, esce il sole!” Aggiunge, emozionata.

Dopo le Traccas seguono, a piedi, i gruppi in costume che cantano le preghiere della tradizione dell’isola creando un clima di intenso raccoglimento.

Samugheo

Poi sfilano i cavalieri, prima quelli “campidanesi”, seguiti dalle giubbe rosse dei miliziani, la scorta armata del santo che un tempo serviva a evitare che i predoni s’impadronissero dei gioielli o della statua stessa di S. Efisio.

I miliziani in giubba rossa

La sfilata, prima del passaggio del Santo, si chiude con il rito de “sa ramadura” o infiorata. Le donne, in costume tipico, spargono per terra, i petali dei fiori fino a formare un tappeto.

Sa Ramadura

A mezzogiorno il Santo esce dalla sua chiesetta di Stampace dentro un cocchio d’oro trainato dai buoi e scortato dalla “Guardiania” a cavallo e dall’AlterNos.

La “scorta” a S. Efisio
Il cocchio di S. Efisio

Il suono tipico delle “launeddas” fa da cornice sonora al suo passaggio fra la folla commossa.

Suonatori di Launeddas

Giunto davanti al Municipio, il cocchio viene salutato anche dalle sirene delle navi del porto che si trova di fronte.

Nonostante la sagra di Sant’Efisio si ripeta, ogni primo maggio, da oltre tre secoli e mezzo, lo spettacolo è sempre atteso con entusiasmo dai cagliaritani e dalla folla di turisti che partecipano con gioia alla celebrazione del santo nel tripudio della natura e della bellezza dei costumi. La stessa gioia che ho provato anch’io mentre sfilava, davanti ai miei occhi, il corteo di donne, cavalieri, carri tra fiori e sorrisi per celebrare il santo più amato dai cagliaritani: uno di loro, come vogliono che sia. Una gioia, però, velata da una nota di tristezza quando ripenso alle accorate parole di mio nonno che nel suo diario scrive

ricordo ancora l’attesa e i preparativi per questa festa: Quattro giorni di gioia e di emozioni per tutti, ma non per me che avrei voluto che tra quelle eleganti signore che circolavano per casa ci fosse stata anche la mia mamma

Il cielo, intanto, si va sempre più rasserenando, buon auspicio per la primavera che avanza. Mi avvio verso l’albergo tra la folla che va diradandosi e lasciandomi alle spalle l’eco dei festeggiamenti.

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