Furore di John Steinbeck

Ci sono libri che ti catturano fin dalla prima riga e ti risucchiano dentro la storia e così ti ritrovi a vivere le stesse emozioni dei personaggi perché sei lì anche tu, in quelle pagine. 

Furore è stato un amore a prima pagina. Ero lì quando il sole implacabile faceva accartocciare le foglie del mais facendole diventare, a poco a poco marroni per poi farle seccare del tutto per mancanza di acqua. La pioggia, il vento, la polvere che si alzava implacabile sui terreni ormai aridi riempivano i miei pensieri e accrescevano la mia ansia. 

La perdita del raccolto, vitale per la sopravvivenza delle famiglie contadine, e l’arrivo dei trattori che avrebbero meccanizzato l’agricoltura e reso superfluo il lavoro degli uomini non davano più scampo e così mi sono ritrovata anch’io costretta ad abbandonare tutti i miei averi e la mia casa in Oklahoma per andare a cercare fortuna in California lungo la Route 66, insieme alla famiglia Joad. Un volantino pubblicizzava il paradiso che avremmo trovato nell’estremo Ovest dove ci sarebbero state case e terra fertile per tutti e lavoro. Tutte queste cose avrebbero cambiato la nostra vita perché noi eravamo gente semplice e ci accontentavano di poco, lo stretto necessario per vivere. Così abbiamo intrapreso quel viaggio della speranza …

Ma la realtà è ben diversa. Arrivati in California ci rendiamo conto di non essere gli unici ad aver intrapreso quel viaggio che ci ha fatto perdere la nostra identità: non siamo più contadini ma siamo diventati emigranti e la gente locale non ci vede di buon occhio e ci chiama in modo spregiativo Okies. Siamo diventati stranieri in patria perché tutti considerano quelli che sono diversi da loro “strani” e, quindi, “stranieri”. Che brutta sensazione! La gente del posto ci guarda con diffidenza, quasi con terrore, come se volessimo portar via tutti i loro averi. Hanno paura di noi perché i poveri fanno paura.

Per noi non c’è lavoro, non ci sono case, non c’è niente. Siamo diventati dei barboni affamati. Siamo in tanti a contenderci i posti di lavoro che scarseggiano, sono sottopagati e le paghe tendono continuamente al ribasso perché la concorrenza è spietata e quando sono in tanti a contendersi un posto da bracciante stagionale i padroni possono offrire paghe sempre più basse. 

Siamo sfruttati e, se riusciamo a trovare un lavoro, sempre per un breve periodo, non ci garantisce una vita dignitosa e il cibo scarseggia per tutti. Ma il tormento maggiore non è tanto per le nostre pance vuote ma per la fame nella pancia dei nostri figli

eppure

I campi erano fecondi, i granai erano pieni ma [..]

Il prodotto delle vigne e degli alberi dev’essere distrutto per tenere alto il prezzo e questa è la cosa più triste e amara di tutte.

Mi rendo conto di quanto l’uomo possa essere disumano nei confronti dei suoi simili quando ci sono di mezzo gli interessi materiali. Il profitto, innanzitutto. 

Le ingiustizie subite a poco a poco si trasformano in rabbia e la rabbia, crescendo sempre più, si è trasformata in furore. 

Siamo diventati ostili gli uni agli altri ma la condizione di disperazione ci ha fatto riscoprire la solidarietà nei confronti di chi si ritrova nella nostra stessa condizione. 

La giustizia sociale nasce dalla solidarietà umana e mamma Joad, la persona più saggia della famiglia, grande sostegno di tutti, ci ha detto una cosa che non posso non condividere 

Sto imparando una cosa importante. La sto imparando ogni momento, tutti i giorni. Quando stai male o magari hai bisogno o sei nei guai … và dalla povera gente. Soltanto loro ti danno una mano … soltanto loro

Ed è vero, solo chi ha sofferto come te, si è messo nei tuoi panni, ha vissuto le tue stesse esperienze può capirti e darti una mano.

Grande romanzo scritto nel 1939 che non ha mai smesso di godere di immensa popolarità tanto da regalare all’autore il premio Nobel per la letteratura nel 1962. 

Nel 1940 John Ford ne diresse il film e, nello stesso anno il romanzo fu tradotto in italiano in una versione tagliata e rimaneggiata dalla censura fascista. Per la traduzione integrale abbiano dovuto aspettare più di settant’anni. La splendida la traduzione di Sergio Claudio Perroni, recentemente scomparso, è, infatti, del 2013.

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