Cecità – José Saramago

Mi sono sempre chiesta se, all’improvviso, mi mancassero l’olfatto, l’udito o la vista quale sarebbe stata la mia reazione e ho fatto alcune considerazioni.

Se mi mancasse l’udito mi ritroverei catapultata in un mondo silenzioso: non potrei più sentire la musica, avrei problemi a seguire una conversazione, ma, per spirito di sopravvivenza mi adatterei ad altri tipi di comunicazione.

Se mi mancassero il gusto e l’olfatto non potrei più sentire i sapori e gli odori e sarei privata di un mezzo che, come la madeleine di Proust, scatena nella mia mente ricordi del passato. Penso, ad esempio, al sapore del thè alla menta o al profumo di gelsomino che mi riportano a un passato lontano quando, ai tempi della mia infanzia, vivevo a Tunisi, città dei gelsomini e del thè alla menta.

Ma ciò che più mi farebbe paura sarebbe senza dubbio la perdita della vista. Non posso immaginare la mia vita senza la vista: sarei privata di una cosa fondamentale senza la quale diventerei totalmente dipendente dagli altri per muovermi. Non avrebbe più senso viaggiare, non potrei più vedere un tramonto, un film, non potrei più andare a teatro ma, soprattutto, non potrei più leggere. Sarei privata delle cose che amo di più e che mi consentono di distrarmi e di trascorrere il tempo. Unica consolazione è che sarei, comunque, circondata da gente che vede e che, all’occorrenza, mi possa aiutare in qualche modo.

Ma cosa succederebbe se tutte le persone di questo mondo diventassero improvvisamente cieche? È il tema del romanzo “Cecità” di José Saramago che con quest’opera ci illustra un’umanità che, a seguito di un’epidemia che rende ciechi, scende uno dopo l’altro i gradini della dignità, della solidarietà, della gentilezza, della condivisione, lasciando che ne emerga solo una massa di ciechi egoisti e arrabbiati, un’umanità che tira fuori il lato peggiore della sua indole o, semplicemente, ciò che ognuno è in realtà, senza filtri.

In questo mondo disilluso, in cui il cibo non è scontato, l’acqua è un miraggio, l’igiene personale un’abitudine che si ricorda solo con indeterminatezza, la morte, la povertà, la malattia sono agli angoli delle strade, sono sui vestiti laceri delle persone, nell’odore che si portano dietro. 

In un mondo di ciechi vige la legge del più forte, del più furbo, del più veloce. 

Saramago ci mostra un’umanità vinta, persa, naufragata, incapace senza gli occhi di poter vivere in società, di potersi organizzare, di poter funzionare, la cecità trasforma l’uomo in bestia secondo il concetto, più volte ripreso nei secoli dai filosofi, che la natura umana è fondamentalmente egoista e che a determinare le azioni dell’uomo sono soltanto l’istinto di sopravvivenza e quello di sopraffazione: “homo homini lupus”.

La conclusione è che, privo di tutte quelle certezze che la civiltà gli garantisce e che vengono date in gran parte per scontate, l’uomo regredisce ben presto a uno stadio subumano, bestiale, sia da un punto di vista fisico sia, ciò che più importa, sotto un aspetto morale: tutto diventa lecito, l’indifferenza verso il prossimo è totale, ciò che conta è unicamente la propria sopravvivenza e il proprio personale tornaconto.

Ho letto il libro tutto d’un fiato senza quasi rendermi conto dell’inesistenza di punteggiatura, di dialoghi non facilmente intuibili, dell’assenza dell’identità dei vari personaggi che non hanno un nome proprio ma sono identificati attraverso le caratteristiche di ognuno: il medico, la ragazza con gli occhiali scuri, il ragazzino strabico, il cane delle lacrime. Anche i dialoghi spesso non specificano quale personaggio stia parlando così anche il lettore è messo nella stessa condizione dei personaggi: è cieco ma è in grado di riconoscere dalle stesse parole chi sta dialogando. 

Ma c’è speranza per questa umanità?

“Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono

 “La paura acceca, disse la ragazza dagli occhiali scuri, Parole giuste, eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi”

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