Fontamara – Ignazio Silone

In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo, questo ognuno lo sa.
Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra.
Poi vengono le guardie del principe.
Poi vengono i cani delle guardie del principe.
Poi nulla.
Poi, ancora, nulla.
Poi, ancora, nulla.
Poi vengono i cafoni.

Ha senso avere ragione se poi manca l’istruzione per far valere i propri diritti? 

Il romanzo di Ignazio Silone è ambientato a Fontamara, luogo di fantasia, il più povero dei paesini rurali della Marsica che porta in sé un destino ingrato già nel nome. La fonte, l’acqua, elemento indispensabile per i contadini, è essenziale per la sopravvivenza. Il suo scorrere è sinonimo di vita, la sua privazione è sinonimo di morte. Allora ecco che questa fonte, in un gioco di parole, diventa “amara” per indicare il destino inesorabile dei suoi abitanti. 

Fontamara è un luogo isolato, lontano dalla città, i cui campi sono aridi lembi di terra aggrappati alla montagna da cui si fa fatica a strappare una manciata di grano e di legumi. 

Qui regnano sovrane l’ignoranza e la povertà aggravate dalla rassegnazione che questo è l’unico destino possibile per i suoi abitanti e dal completo abbandono dello Stato che preferisce mantenere le cose come stanno perché torna utile agli interessi di pochi.

Il paese è abitato dai “cafoni”, cioè “coloro che sono meno del nulla”, “carne abituata a soffrire”, che trascina la propria vita di giorno in giorno, senza speranza di miglioramento, vivendo di agricoltura e dei lavori a giornata che riescono a ottenere. Ma il “cafone” è un asino che ragiona e tutti i guai vengono dal ragionamento perché il cafone può essere persuaso a digiunare, a dare la vita per il padrone, ad andare in guerra 

“Perciò la nostra vita è cento volte peggiore di quella degli asini veri che non ragionano”

“Un essere irragionevole non ammette il digiuno. Dice: se mangio lavoro, se non mangio non lavoro

Questa massa di lavoratori non istruita, abituata a subire le più crudeli ingiustizie, ormai rassegnata alla sua condizione di inferiorità, e per questo più malleabile, diventa facile preda di sopprusi, di inganni, di raggiri, tutti a danno di questi contadini, di questi “cafoni” perchè

“Non si discute con le autorità. La legge è fatta dai “cittadini”, è applicata dai giudici, che sono tutti “cittadini”, è interpretata dagli avvocati, che sono tutti “cittadini”. Come può un contadino aver ragione?

Ma accanto a questa miseria e a questa situazione disperata e senza via d’uscita, perché i cafoni non sanno che, con un minimo di istruzione, può esserci una possibilità di riscatto, una possibilità di vincere le ingiustizie e cambiare le cose a loro favore, c’è un’altra realtà, assai più amara e indigesta, fatta di corruzione, di inganni, di soprusi. Una realtà dove i ricchi proprietari terrieri, i preti conniventi, i vecchi e i nuovi rappresentanti politici, i fascisti non si fanno scrupoli ad approfittare dell’ignoranza di chi non ha gli strumenti per capire l’inganno e ancor meno per difendersi. Perché, quindi, non approfittare di questa situazione per sottrarre agli inermi cafoni quel poco che ancora è rimasto loro? Perché non privarli della luce, del tratturo comunale, dell’acqua della fonte, di qualche lira di salario a favore del nuovo avente diritto di turno?

Ma i “cafoni” sono asini che ragionano e, a forza di seguire questa brutta abitudine, hanno capito alcune cose: che c’è sempre da pagare, innanzitutto; che dove non si paga c’è imbroglio; che quando c’è la guerra si paga di più ma la cosa più importante che hanno capito è che i padroni cambiano e cambiano i governi, ma il giogo, per loro, per i poveri cafoni, è sempre lo stesso: cambiano padroni ma le prepotenze rimangono, anche se di colore diverso. 

Tutto cambia, tutto resta uguale in un mondo scandito dalla fatica sempre uguale, dalle stagioni sempre uguali, dalle giornate sempre uguali tra casa, fatica bestiale, e di nuovo casa che lasciano i cafoni sempre e comunque poveri, disperati, ingannati, sfruttati. Vittime, prima che dei padroni, di un’ignoranza così profonda da renderli del tutto inconsapevoli dei meccanismi che determinano la loro condizione: per loro la speranza non esiste, da una vita di disperazione non esiste riscatto.

Che fare, allora, se sembra che non esista speranza? “Che fare?”,

“Non bisogna più ragionare: questo è il senso della decisione del podestà. E poi, siamo sinceri, a che servono i ragionamenti? Se uno ha fame, può nutrirsi di ragionamenti? Bisogna farla finita con questa cosa inutile.”

Silone ci offre un grande affresco della società contadina di quasi un secolo fa ma che sembra attualissima per i temi trattati.

Scritto nel 1930 durante l’esilio in Svizzera, Fontamara è probabilmente il più famoso romanzo di Ignazio Silone. È un invito a non rassegnarsi alle ingiustizie, a far valere i propri diritti, è un invito a reagire.

Da leggere assolutamente.

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