Thailandia – Il tempio bianco

Una delle destinazioni più eccentriche e stravaganti della Thailandia si trova nella parte più settentrionale del Paese, a 800 Km da Bangkok e a 15 Km di distanza dalla città di Chiang Rai: è il Wat Rong Khun, più comunemente noto come “White Temple”, il “Tempio bianco”. 

Il tempio già da lontano ci accoglie con il suo candore abbagliante accentuato dallo sfavillio di tanti piccoli specchietti incastonati su tutto l’edificio che lo fanno risplendere alla luce del sole. Questa caratteristica attira l’attenzione del visitatore, ormai abituato all’abbondanza di oro di cui sono ricoperti la maggior parte delle migliaia di altri templi disseminati in tutto il territorio.

La sua costruzione, iniziata nel 1997 ma non ancora terminata, è nata dall’estro dell’architetto Chalermchai Kositpipat che, stravolgendo i canoni classici, ha creato un tempio per metà buddhista e per metà induista, in un perfetto ibrido tra sacro e profano, tra Inferno e Paradiso. 

La sua unicità è dovuta al colore bianco, simbolo della purezza del Buddha, e agli specchietti che ne rappresentano la saggezza, che sono presenti ovunque nell’intonaco.

Ma ogni dettaglio di questo tempio alquanto singolare, direi puro esempio di kitsch orientale, ha un suo simbolismo che induce a riflettere sugli insegnamenti buddisti che indicano la via per fuggire alle tentazioni.

Il Ponte del Ciclo delle Rinascite

Per raggiungere l’edificio centrale (Ubosot), nel quale si trova la statua del Buddha, si deve attraversare un ponte che sovrasta la fossa dei dannati, l’inferno rappresentato da una “scultura” con tante braccia protese verso il cielo, simbolo del desiderio per i beni materiali. Sono mani di anime in pena, alcune delle quali reggono la tipica ciotola buddista per l’elemosina, che stanno sprofondando negli inferi e implorano aiuto. 

“La fossa dei dannati”

Quest’oceano di arti spettrali, che spuntano dall’oltretomba simboleggiata da una vasca a forma circolare, rappresentano l’immagine di quel desiderio che, secondo il pensiero buddhista, altro non è che la causa primaria di tutte le sofferenze.

L’esistenza è sofferenza

Il Buddha, meditando sulla vita, era giunto alla conclusione che la sofferenza è parte della natura umana e non si poteva nascere ed essere vivi senza soffrire. 

La bramosia alimenta la sofferenza nello stesso modo in cui la legna alimenta il fuoco.

È il desiderio dunque a causare sofferenza e la reincarnazione e il conseguente incatenamento a quel circolo vizioso di morti e rinascite,  conosciuto con il nome di samsara.

Tutte le sculture e le strutture del tempio hanno dunque un significato simbolico che vuole far riflettere sugli insegnamenti buddhisti: lo stesso ponte che conduce all’ingresso, rappresenta il ciclo della rinascita dallo stato di sofferenza, costituito dalle tentazioni, al benessere dell’anima, e quindi alla liberazione, meglio conosciuta come Nirvana.

Se la sofferenza è generata dai desideri, la rinuncia al desiderio e all’attaccamento alle cose e alle persone è l’unica via per raggiungere il Nirvana.

È la via attraverso la quale si raggiunge il Paradiso ponendo fine al ciclo delle rinascite. Secondo la dottrina Buddhista, tutti gli esseri viventi sono soggetti a un ciclo continuo di morte e rinascita che termina soltanto con il raggiungimento dell’illuminazione, la felicità eterna.

Le mani dei “dannati”

È proprio per questo che, una volta intrapreso il cammino sul ponte, non si può tornare indietro: si tratta di un cammino lento e a senso unico. Molti turisti quando, per una qualsiasi ragione, retrocedono dall’ingresso del Wat dirigendosi verso il ponte, vengono ripresi severamente dai guardiani che gridano loro: “Don’t come back to the hell”. Significherebbe tornare all’inferno, ad aiutare le anime in pena.

La Porta del Paradiso     

Attraversando il ponte delle rinascite, si arriva alla “porta del Paradiso” dove, all’ingresso del tempio, sono posizionate due statue che rappresentano Yama, il dio della morte, “colui che irrimediabilmente trattiene con sé”, padrone degli inferi che controlla il trapasso delle anime da un mondo all’altro e Rahu, dio dell’oscurità, divinità che, nella mitologia induista, è in grado di inghiottire il sole e quindi associato all’eclisse solare, simbolo dell’aggrappamento ai benefici materiali che danno una felicità illusoria. 

Sono due mostruosi guardiani che accompagnano i fedeli verso l’interno del tempio e che decidono sul destino degli uomini: qualcuno proseguirà verso il cammino dell’illuminazione, qualcun altro tornerà a reincarnarsi dando seguito ancora una volta all’incatenamento al circolo vizioso di morti e rinascite, conosciuto con il nome di Samsara.

La Ubosot del Wat Rong Khun

Dopo aver percorso il Ponte dei Cicli delle Rinascite e varcato la Porta del Paradiso si accede alla Ubosot (Sala dell’Ordinazione), la struttura principale del Wat Rong Khun.

Esternamente la struttura presenta il classico tetto multifalda, particolarmente elaborato e decorato con il Nāga, il gigantesco serpente che salvò Buddha dalle piogge torrenziali.

I Nāga, nella mitologia indo-buddista, sono descritti come esseri di straordinaria bellezza per metà umani (dalla cintola in su, Rahu) e per metà serpenti (dalla cintola in giù, Ketu) con la capacità d’assumere forma completamente umana oppure serpentina. 

La testa senza corpo (Rahu) tende a mangiare senza mai saziarsi poiché non ha un corpo, è la forza che ci rende incarnati, che ci proietta verso la materia, rappresenta l’inizio di un ciclo karmico, mentre il corpo senza testa (Ketu) è la forza che ci proietta verso la liberazione.

Per molti versi superiori agli uomini, sono potenzialmente pericolosi, anche se hanno promesso a Brahma di mordere soltanto esseri umani realmente malvagi.

I Nāga vengono associati a elementi acquatici e fanno da guardiani ai tesori. I buddisti, che si rifanno ai miti più antichi, li considerano divinità minori e guardiani delle porte. 

Sono anche considerati spiriti della natura, e in virtù del loro legame con l’acqua portano la pioggia, e quindi fertilità, ma anche disastri come inondazioni e alluvioni.

L’interno della Ubosot

Una volta giunti all’interno del Tempio rimaniamo sorpresi da ciò che vediamo.

I tradizionali dipinti dei templi buddisti raffiguranti i Jataka, ossia le novelle che descrivono le vite precedenti (o reincarnazioni) del Buddha, sono sostituiti da una serie di murales alquanto insoliti, rappresentanti scene apocalittiche del mondo contemporaneo con protagonisti alcuni dei personaggi più famosi dei film e cartoni animati. Così, su pareti coloratissime troviamo Spiderman, Superman, Batman, Elvis Presley, Michael Jackson, un aereo che si schianta sulle torri gemelle. Peccato che sia vietato fare foto all’interno.

Foto: @danielametteo

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