Augustus – John Williams

Augustus è un romanzo storico sul primo degli imperatori romani, Ottaviano Augusto, successore di Giulio Cesare. È lo stesso Williams in una nota introduttiva a precisare che non si tratta di un saggio ma di un vero e proprio romanzo storico perché, per “esigenze letterarie” ha volutamente commesso degli “errori”, inventare fatti, creare personaggi forse mai esistiti. Così ricorrendo alla fitta corrispondenza con gli amici, da Cicerone a Mecenate, Agrippa, Virgilio, Williams è riuscito a farci avere un’idea di chi fosse Augusto, perfettamente inserito nel suo contesto storico, e di avere un’idea di quella che doveva essere la società romana del tempo, dei giochi di potere che minacciavano l’esistenza stessa di Roma.

Così, attraverso le pagine di Williams, oltre a rinfrescarmi la memoria sulla vita di Gaio Cesare Ottaviano Augusto, ho scoperto un uomo esile, dalla salute cagionevole ma dalla fortissima personalità e abile politico che, una volta divenuto imperatore, ha saputo assicurare a Roma un lungo periodo di quiete e prosperità. Un uomo che, suo malgrado, fu costretto dalla “ragion di stato” a sacrificare a matrimoni combinati perfino le donne più importanti della sua vita: la sorella Ottavia e la figlia Giulia.

Particolarmente intensa la figura di Giulia, vittima delle stesse leggi promulgate dal padre e condannata all’esilio

“Io, Giulia, figlia dell’imperatore, venni accusata di adulterio al cospetto del senato, nonché di aver violato le leggi sul matrimonio che mio padre aveva promulgato con un editto quindici anni addietro. Ad accusarmi fu mio padre stesso…”,

“Venni condannata all’esilio: e in tal modo mi fu risparmiata l’accusa di alto tradimento nei confronti dello Stato, che avrei pagato con la morte”.

Ma si avverte anche in lui, verso la fine, una certa stanchezza per il potere, e per la schiavitù che ne deriva, un uomo che resterà solo con la progressiva dipartita degli amici fidati. E questa intima malinconia è descritta in modo splendido nell’incontro casuale per le vie di Roma, di Augusto con Irzia, la vecchia nutrice che gli fu compagna di giochi e amica quando entrambi erano bimbi, ora una donna un po’ più anziana, non ricca, ma nemmeno povera, amata dai figli, pervasa da una serenità contagiosa anche se avverte prossima la dipartita. Augusto riconosce l’amica che lo chiama, come da bambina, Tavio; prova gioia, pur nella malinconia che lo permea, e i due parlano, prima del passato, poi del presente.

“Ho dato a Roma una libertà di cui io solo non posso godere”.

“Non hai trovato la felicità, dissi io (Irzia), nonostante tu l’abbia data”.

”Così è stata la mia vita”.

Al momento del commiato Augusto poggia le labbra sulla guancia di lei. Si sta dirigendo al Senato dove dovrà pronunciare la sua condanna all’esilio dell’amata figlia Giulia, vittima delle sue stesse leggi ma che troverà, comunque, un modo per “salvarla”

“Non verrai processata per alto tradimento. Ho scritto una lettera che leggerò in Senato. Sarai accusata di adulterio in base alle mie leggi, e verrai esiliata da Roma e dalle sue province. È l’unico modo. L’unico modo per salvare te e Roma”

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