Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio – Remo Rapino

Mò, quelli là, gli altri, tutta la gente di sto cazzone di paese, vanno dicendo che sono matto. E mica da mò, che me lo devono dire loro, quelli là, gli altri, tutta la gente di sto cazzone di paese che sono matto. Pure io lo so, e sempre ci penso, notte e giorno, d’inverno e d’estate, ogni giorno che il Padreterno fa nascere e morire, con la luce e con lo scuro, ci penso, che c’ho sempre pensato per vedere di capire come mai sta coccia mia da quasi normale s’è fatta na cocciamatte, tutta na matassa sgarbugliata fuori di cervello.

Nel libro di Remo Rapino “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” è Liborio stesso che, giunto all’età di 86 anni, decide di raccontare la sua storia perché i suoi compaesani dicono che lui è matto, ma lui matto mica ci è nato.

Così, allora mi è venuto alla mente e pure al cuore questo sghiribizzo intricante di raccontare tutto quello che mi è successo da quando sono nato a mò che ch’ho più di ottant’anni, certo quello che mi ricordo tra na ripensata e l’altra, che non mi posso ricordare tutti i fatti e fattarelli.

Così nasce un lungo monologo che segue, in un linguaggio sgrammaticato, senza punteggiatura, i fili dei pensieri, così come vengono, di getto, in un dialetto sghangherato. Ed è proprio questo linguaggio che rende più viva e autentica la figura di Liborio. 

Uomo di umili origini, non si lamenta della sua disgraziata sorte ma lotta per cambiarla, da solo, soffrendo la solitudine.

Attraverso i suoi occhi ingenui vediamo i fatti che hanno attraversato tutto il Novecento: l’insensatezza della guerra, quella combattuta al fronte e non quella letta sui giornali, l’Italia del boom economico, vissuto lavorando in fabbrica, le lotte operaie, gli anni di piombo, la caduta delle torri gemelle. 

Condannato ai margini della società perché considerato stravagante, una cocciamatte, trascorrerà anche qualche anno in manicomio condividendo il destino con gli altri emarginati. Ma, nonostante tutto, sono questi gli anni più felici della sua vita perché il medico che lo avrà in cura ripete spesso non è mica tanto matto questo Libbò, frase che gli riempie il cuore di orgoglio e che si porterà dietro fino alla fine, anche quando, rientrato in paese, sarà emarginato dalla gente che lo farà sentire sbagliato. Così ci si ritrova a parteggiare per lui e a provare rabbia per tutti coloro che non riescono a vedere l’immensa bontà d’animo di quest’uomo, di questa cocciamatte.

La storia di Liborio, di questo cocciamatte è un po’ la storia di ognuno di noi: in fondo che cos’è la normalità nella società in cui viviamo? Omologazione, egoismo, rifiuto di tutto ciò che è diverso, paura di perdere tutto ciò che si possiede, ricerca del profitto a tutti i costi. Tutto ciò che si trasforma in abitudine diventa “normale”, ciò che normale non è diventa stravagante

Così è tutta la vita nostra, acqua che viene e acqua che va, se poi ridivento polvere come dice il prete sull’altare, però pure quella polvere mia sempre polvere di uomo è, un uomo di carne con tutti i sentimenti, i dolori, i rumori nel cervello, bistanclaque bistanclaque, tata tatan tatatan, tutum tutum tututum, che per questo mi sono scantonato, che poi non sono solo i rumori della fabbrica, ma tutti i ricordi della vita mia interamente, proprio come ci faccio scrivere sulla lapide, dopo che un giorno prima o poi mi morirò.

QUI finalmente RIPOSA

BONFIGLIO LIBORIO

Fiommista

nato 22 agosto 1926 morto … (ce lo mette il marmista)

Aveva gli occhi uguali a quelli di suo padre

Volare oh oh nel blu dipinto di blu (se ci capa)

Una storia che commuove, che fa riflettere e che fa venire voglia di entrare nelle pagine del libro per modificarne il corso.

Vincitore del premio Campiello 2020

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *